Vancouver Courier - Una proteina sintetica contro le malattie neurodegenerative

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Una proteina sintetica contro le malattie neurodegenerative
Una proteina sintetica contro le malattie neurodegenerative

Una proteina sintetica contro le malattie neurodegenerative

Fa luce sul meccanismo chiave dell'Alzheimer

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La prima versione sintetica della proteina all'origine di gravi malattie neurodegenerative come l'Alzheimer permetterà di combattere queste patologie, facendo luce sul loro meccanismo chiave e portando a nuove armi sia per la diagnosi che per la terapia: è stata ottenuta in laboratorio dal gruppo di ricercatori di Northwestern University e Università della California a Santa Barbara, che hanno pubblicato i risultati ottenuti sulla rivista Pnas dell'Accademia Nazionale delle Scienze americana. La proteina tau sintetica messa a punto dai ricercatori coordinati da Songi Han è una versione ridotta di quella originale, ma si comporta esattamente allo stesso modo, ripiegandosi in maniera scorretta, aggregandosi in grovigli e trasmettendo il difetto anche a quelle circostanti, in una reazione a catena senza fine. "Abbiamo creato una versione mini più facile da controllare - dice Han - ma svolge le stesse funzioni della proteina completa". L'accumulo di proteine tau mal ripiegate è appunto alla base della progressione di questa classe di malattie neurodegenerative, dette infatti anche 'taupatie'. I risultati mostrano che gioca un ruolo fondamentale la mutazione chiamata P301L: facilita, infatti, un tipo di ripiegamento errato spesso osservato nei pazienti, ma non solo. Sembra che questa mutazione influenzi direttamente il comportamento delle molecole d'acqua che circondano le proteine, ed è ciò che consente a queste ultime di raggrupparsi insieme in grovigli e filamenti. "L'acqua è una molecola fluida - afferma Han - ma ha comunque una sua struttura: la mutazione potrebbe portare a una disposizione più strutturata delle molecole d'acqua circostanti, che influenza il modo in cui la proteina interagisce con le altre, legandole insieme. Se riuscissimo a capire come bloccare questa attività - conclude la ricercatrice - potremmo scoprire nuovi agenti terapeutici".

U.Hill--VC